AspraMente

parole ruvide, pensieri morbidi

Roots

Quali sono le mie radici?  Queste qui, ben piantate nell’Emilia, direbbe un osservatore distratto.  Sei nato e cresciuto qua, parli con quest’accento dalle “e” belle chiuse, dalle “s” sibilanti e dalle “z” affilate.   E mangi i salumi, i turtleìn, gnocco e tigelle e tutti quegli accrocchi zuppi di colesterolo malvagio.  

Senza contare che la pianura ti accompagna da una vita, la nebbia e l’umido d’inverno, l’afa schifosa d’estate e i circoli anziani e le polisportive e l’associazionismo e la coop e il partito e l’arci e la bicicletta che adesso è un sogno perché ti sposti solo in macchina come una trottola tra la via Emilia e il west. 

Detta così, allora, non ci sarebbero dubbi.   Però, non è proprio così.   Perché il mio genitore maschio è calabro, nato anche se poco cresciuto tra l’Aspromonte, il Tirreno e lo Jonio. E poi ci sono tutti i parenti e affini che pure loro provengono dalla Magna Grecia, ma negli anni si sono sparpagliati lungo lo stivale, dalla Liguria, a Roma, con un grossa colonia fiorentina.   E non vi dico il guazzabuglio di accenti e di cucine alle riunioni di famiglia, che ti gira la testa se non entri subito in sintonia con il souq parentale.  Anche la frequentazione del capoluogo mediceo da quando i ricordi mi accompagnano ha aggiunto il tifo viola e un po’ di toscanità a quello che sarebbe già uno zibaldone pronto e finito. 

E ancora non basta.  Dove li mettete, infatti, i 38 anni suonati di frequentazioni salentine?  Con il sale di quel mare stampigliato a fuoco sulla pelle, gli odori, i muretti a secco, la terra rossa, gli ulivi, le paiare, le friselle, gli scogli, la sabbia fina e quella grossa. E poi l’accento fiero di quel tacco orgoglioso, che comprendo e che mi sforzo di imitare. O i mattoni di pietra leccese, e le storie narrate dai Messapi ai giorni nostri e la pizzica che ti infervora d’estate nelle piazze di paesi, borghi e quartieri.  Senza dimenticare le lunghe frequentazioni, le amicizie e, più di tutti, il recente sole partenopeo, che si sono aggiunte armoniosamente alla fiera già presente.  Un bel rompicapo, non c’è che dire.  

E dunque?  Dunque mi accorgo che le radici forse non le ho da nessuna parte, ma ancora di più che le ho in molti posti.   Forse significa che più dei luoghi, del cibo, della conformazione geografica del posto dove si nasce, si cresce, si vive, gli alberi del cuore e degli affetti mettono radici dove incontri le persone che ti fanno diventare quello che sei. Le loro facce, le parole, i silenzi, i vissuti insieme, i pezzi di vita che con loro condividi diventano la linfa che scorre dalle radici e arriva fino alla chioma, anche se adesso sono semi calvo. 

È come se durante quelle frequentazioni avessi posato un seme in quelle terre simboliche che amici, parenti, persone si portano appresso e oggi quella semina avesse generato un bosco di alberi, con radici sparse da Nord a Sud, dal Tirreno, allo Jonio, all’Adriatico passando per gli appennini.  Se ci penso il discorso fila.   E io sono emiliano, certo, ma anche salentino, calabro, partenopeo, fiorentino e chissà cos’altro ancora.